progetto scientifico

Le attese e le giustificazioni scientifiche del progetto.

1. Quello del rapporto tra la religione e la politica è un problema di grande attualità. Il fatto che ci troviamo a vivere entro società laiche o addirittura decristianizzate non implica che la teologia e la religione abbiano perduto il loro impatto simbolico, ma esige di indagare e di sottrarre a ogni fraintendimento le nuove manifestazioni di questo impatto. Che oggi il potere si eserciti attraverso la cosiddetta governamentalità (più giornalisticamente governance) ovvero con modalità lontane dalle tradizionali forme della sovranità non significa che la politica si sia affrancata dal suo retroterra teologico. Al riguardo, si potrebbe individuare una prospettiva “teologico-economica” che disloca senza cancellarla quella che un tempo era la prospettiva “teologico-politica”.

2. Tutte le comunità umane vanno correttamente inquadrate entro al patrimonio simbolico. Infatti l’integralismo riposa spesso non tanto su una proletarizzazione economica e sociale quanto sull’incapacità – conseguente alla carenza teorica delle istituzioni e del loro apparato simbolico in materia di religione – di comprendere l’importanza delle dimensioni rituali. Di qui l’urgenza di esplorare tali problemi, al fine di evitare quello scontro tra le civiltà che viene spesso evocato in una cornice di grande incultura religiosa e teologica.

3. Le ricerche che il Centro Studi “Religione e potere” intende favorire accepiscono dunque la nozione di religione nel senso, ormai acquisito, di legame sociale (ligare) ovvero di legame donde si creano riti, divieti e istituzioni – ivi comprese quelle di natura simbolica. Senza religione, non si dà società (umana), non si praticano riti, non si frappongono divieti, non si stabiliscono istituzioni. Per le teorie più vulgate, il potere del religioso (ossia le religioni politiche) poggia su un tale legame. Resta tuttavia da sciogliere l’interrogativo sul significato del religioso – che evidentemente non coincide con l’origine della società oggetto del culto (una soluzione cui pure si richiamano – assai più delle teorie del Freud di Totem e tabù e del Girard di La violenza e il sacro – molte teorie correnti, come ad esempio quelle di ascendenza durkheimiana). Fondamentale è allora riscoprire l’originaria e forte applicabilità del significato recondito del termine religione: appropriarsi, cogliere e trasmettere (legere). In questa direzione vanno peraltro le teorie della mimesi relative al rapporto tra pensiero critico e immaginazione: misura religiosa, non meramente concettuale, della poiesi e cioè del modo costruttivo (o appunto poietico) in cui l’attività umana si fa (vi rientrano soprattutto le riflessioni che associano il sacrificio all’appropriazione e alla trasmissione, reale e simbolica ovvero proto-sociale e mediatoria a vari livelli). La Religione come appropriazione e trasmissione originaria di cui sono eredi le prime organizzazioni umane costituisce la radice della libertà e della sopravvivenza storica, politica, culturale delle società. Ma non soltanto. Se è vero che ogni sopravvivenza sociale è impensabile senza la religione, è anche innegabile che la religione è foriera di eccentricità rispetto alla mera sopravvivenza della società – sia questa valutata su una base teologica oppure su una base metafisica o morale o economica o tecnica.

4. Riesce dunque realistico e giustificato un progetto culturale impegnato ad approfondire le cause da cui emerge lo scarto anticipatore, non colmabile, non sostituibile, tra religione e potere. A questo scarto si collegano le teorie di Carl Schmitt: a) l’eccezionale produzione di senso e di nomos che la presenza del religioso introduce nell’ordine naturale; b) il potere, proprio del religioso di trattenere “katechonticamente” e di dominare le forze del mondo, le sue derive anarchiche e anomiche; c) la testimonianza inerente al giudizio individuale e alla sua energia provocatoria, in quanto scandalo che resiste alle persecuzioni e non cessa, per l’appunto, di testimoniare la sua azione.